Rossana Dedola su Saverio Simonelli
Parecchi anni fa, mentre camminavo a Berlino nel cimitero St. Matthäus Kirchhof a Schönenberg, mi capitò di imbattermi in quattro tombe uguali di fronte alle quali mi fermai stupita. Due racchiudevano il sonno eterno dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, le altre due quelle dei figli di Wilhelm. Quel ricordo mi è venuto in mente di colpo leggendo un libro molto bello che è uscito nel 2012 nella collana di Giulio Perrone Passaggi di dogana, ma che mi è capitato di leggere in questi giorni, Nel paese delle fiabe. La Germania magica e misteriosa dei fratelli Grimm, di Saverio Simonelli.
I cenni biografici sui fratelli sono scarsi, Jacob da bambino si perse nel bosco e forse cominciò forse a pensarsi come Hansel o Pollicino; Wilhelm si era sposato e aveva avuto dei figli, ed era più poeta di Jacob. Seguendo le tappe di un viaggio sulle loro tracce, Simonelli parte da Halnau, la loro città natale, per arrivare sino a Brema, che è anche la meta verso cui sono indirizzati i quattro musicanti che non la raggiungeranno mai. Il viaggio che compie è in queste regioni della Germania, dall’Assia, attraversando Francoforte, a Alsfeld, Kassel, Marburg e Gottinga arriva sino a Brema. Ma il viaggio principale che il suo libro ci fa compiere è proprio all’interno delle fiabe che scandiscono via via la lettura permettendo incontri con sarti, nani, lupi, giganti e orchi, e streghe e bambini e bambine che si perdono nel boschi o vi sono abbandonati dai genitori.
Li vediamo sin da subito i due fratelli Grimm attraverso la finestra col davanzale fiorito di viole, violacciocche, caprifogli e gigli: Jacob, già affetto da vari acciacchi e goloso d’uvetta, gratta con la penna d’oca sul foglio, Wilhelm invece, sollevando gli occhi dal testo che sta leggendo, guarda attraverso la finestra il tiglio che è lì davanti accanto alla staccionata che divide dal parco.
I Grimm sono sin da subito interessati alla nascita delle parole e come dalle parole si formano le storie, da sempre studiano per scoprire come questo miracolo si compia. Il lavoro sulle fiabe comincia subito dopo la laurea e ci lavoreranno per mezzo secolo proponendo sette edizioni dal 1812 al 1857, rielaborando versioni scritte e orali, mentre compongono saggi, grammatiche, compiono analisi comparate delle lingue indoeuropee. Ci vorrebbe una vita al quadrato, assicura Simonelli, per tutto questo lavoro, ed è proprio ciò che fanno i due instancabili fratelli che hanno sempre lavorato insieme, anche se le loro vite sono state leggermente diverse.
A Halnau c’è un monumento dedicato ai Grimm, tutti gli abitanti di Halnau parteciparono a pagare i costi di quel monumento perché le fiabe dei Grimm sono diventate nel frattempo patrimonio di tutti, nonostante le critiche e le accuse di non aver rispettato i racconti originali, di aver edulcorato e censurato il materiale fiabesco eliminando allusioni sessuali e scene troppo violente. Nonostante i cambiamenti i Grimm dal canto loro dichiararono sempre la loro fedeltà alle versioni che avevano sentito raccontate e che avevano raccolto.
Una critica simile fu rivolta anche al nostro Carlo Collodi quando si cimentò nella trasposizione in italiano delle fiabe francesi di Charles Perrault e della Corte del Re Sole, ma mise le mani avanti ammettendo che aveva compiuto qualche cambiamento e dichiarò convinto: “peccato mezzo confessato peccato perdonato”. In realtà, proprio come i Grimm, era stato fedele, non al dettato letterale, ma al nucleo profondo, a quel fondo misterioso che rende immortali i personaggi delle fiabe. Se Cappuccetto rosso e Barbablu sono diventati veramente italiani lo devono all’invenzione creativa di Collodi che chiamandoli con quei nomi gli diede la spinta iniziale permettendo che si incamminassero nell’immaginario italiano. Li fece finalmente venir fuori dalla piattezza cui, con i nomi improbabili di Berrettina Rossa e La barba turchina, li aveva condannati la versione italiana di Cesare Donati. Ma quando uno scrittore è grande, come Collodi o come Italo Calvino che tradusse in italiano le versioni dialettali delle fiabe italiane, e come i fratelli Grimm, i personaggi fiabeschi acquistano dei tratti che li rendono vivi per sempre e che continuano incessantemente a incantare il lettore perché permettono di vivere quell’ “attimo di meraviglia nei confronti dell’immensità dell’indecifrabilità del mondo”, ci dice Simonelli che ci ricorda il cambiamento mai definitivo delle fiabe: finché c’è vita c’è una possibilità. E aggiunge una frase molto bella che è anche una affascinante interpretazione del mondo del fiabesco: “È come se tutto l’universo avesse l’odore dei bambini in fasce: deve essere accudito aspettando la prossima sorpresa, anche per l’inverosimile” (p. 62).
Molte fiabe dei fratelli Grimm terminano con la formula “und wenn sie nicht gestorben sind, dann leben sie noch heute” (E se non sono morti, allora vivono ancora oggi). Ecco il perché del mio stupore nel cimitero di Berlino, non potevo immaginarli morti e infatti, come ci dice Simonelli, sono sempre vivi.